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Francesco De Gregori

Francesco De Gregori_intervista

Intervista a Francesco De Gregori

Il Messaggero 03.05.2013

Questa sera sul palco del Lyric di Assisi salirà uno degli eroi della musica d’autore italiana. Già, perchè Francesco De Gregori è tra i pochi artisti che in 40 anni di carriera abbia saputo mantenersi coerente con il suo spirito di poeta non convenzionale, riuscendo a cantare l’Italia e gli italiani, oltre a sentimenti ed emozioni, come pochi altri hanno saputo fare. Ascoltarlo dal vivo, ci si può scommettere, sarà un’esperienza impossibile da dimenticare.
Il titolo dell’album, Sulla strada, è legato al celebre libro di Kerouac. Cosa le piace dei fenomeni che hanno caratterizzato gli anni ’60 e ’70?
«Quando ho cominciato a guardarmi intorno, diciamo verso i 15 anni, quella era la cultura che vedevo… quella la musica, i film, i libri. L’America era il Paese Sognato, la cultura radicale che esprimeva era inevitabilmente in sintonia con le aspettative di un adolescente di allora. E comunque certe cose, penso proprio a Kerouac o a tutti quelli della Beat generation, avevano un valore artistico oggettivo: leggere oggi per la prima volta Sulla strada, come è capitato a me un paio d’anni fa, è stata un’esperienza niente affatto nostalgica ma semplicemente l’incontro con un bel pezzo di letteratura».
Cosa è cambiato nel suo modo di fare musica dal 1969 (anno del suo esordio) ad oggi?
«Non mi sembra di essere molto diverso da quello che ero 40 anni fa, a parte il fatto che evidentemente sono un po’ invecchiato! Ho cominciato scrivendo cose che non erano molto “allineate” con ciò che andava per la maggiore e credo che anche adesso si possa dire la stessa cosa. Non è neccessariamente un merito o una qualità, è solo che non so fare diversamente… e non mi rimprovero niente e non vorrei essere diverso da quello che sono».
Cosa le piace maggiormente di questo spettacolo?
«Mi sembra che funzioni tutto a dovere, la scaletta rappresenta bene ciò che sono oggi e quello che è oggi la band che mi accompagna da anni. Anche nelle canzoni riarrangiate per l’occasione non ci sono particolari contorsionismi».
Crede che certe canzoni possano rimanere attuali anche trascorso qualche decennio?
«E’ normale che riprendendo in mano le cose ogni volta che si parte per un nuovo tour entrino in ballo nuove atmosfere musicali, una capacità d’improvvisazione diversa. E poi non sono solo sul palco: ognuno dei musicisti che suona con me si porta dietro il suo suono, la sua testa. Siamo una band in movimento, le canzoni sono fatte apposta per essere cambiate sera dopo sera, sono delle porte aperte dove può entrare o uscire di tutto. È il bello del nostro lavoro».
Che rapporto ha con l’Umbria e la sua gente?
«Passo in Umbria gran parte della mia vita; mi divido fra Roma e un piccolo paese a pochi passi dal teatro dove farò il concerto. Qui si respirano ancora l’arte e la spiritualità che fanno parte della storia di questa piccola regione, la ritrovi nelle facce e nei gesti delle persone che la abitano, nella loro pazienza e nella loro educazione».
Cosa ne pensa del web e delle evoluzioni tecnologiche che possono coinvolgere la musica?
«Il web è più una possibilità che una necessità. Ne sono affascinato quanto potrei esserlo da un navigatore satellitare o da un telefono cellulare. Sono cose che ti trovi a portata di mano e le usi, magari ti sembra di non poterne più fare a meno ma non è questo che ti cambia la vita. Non è questo che cambia la musica e i musicisti».
C’è un progetto nel cassetto al quale, una volta finito questo tour, le piacerebbe dedicarsi?
«Nessun progetto, a meno che non sia un progetto quello di continuare a suonare a mia musica finché qualcuno si divertirà a venirla ad ascoltare…».

Competenze

Postato il

3 Maggio 2013